“Quei poveri figli miei…”
Il passato che ci è stato raccontato, si sa, è pieno di episodi rimarchevoli, di sentimenti elevati e gesti nobili. Sentite allora questa storia.
Il periodo storico non è troppo preciso e malgrado qualche ricerca non sono riuscito a trovare molto; siamo comunque tra il 1943 e il 1944, con Wehrmacht e SS a spasso per il Centro e il Nord Italia e Alleati che stanno aggrappandosi ad una mezza dozzina di lembi di terra al Sud.
Mio padre raccontava che una sera di primavera s’erano presentati tre uomini nell’aia di casa. Male in arnese e ridotti all’osso cercavano da mangiare. Parlavano poche parole d’italiano e appena gli venne dato del pane si andarono a nascondere nel bosco di fronte a casa.
Rimasero lì per qualche giorno, a casa aumentarono le razioni dei pasti e a turno andavano nel bosco a portare le loro. Poi un giorno, uno dei tre, in un italiano smangiucchiato chiese:”Noi, lavoro, per pane; no lavoro no pane”.
All’offerta, mio nonno non seppe dire di no. Con uno dei miei zii disperso in qualche campo di concentramento tedesco e l’altro che lavorava a tratti, sempre sul ‘chi va là’, per non esse scoperto da qualche federale e deportato, sei braccia, anche se malnutrite erano un tesoro.
I tre cominciarono a lavorare a turno, in una parte della proprietà sorvegliata da mio padre, anche se di federali o tedeschi non se ne erano mai visti, lassù, a 800 metri. Erano aviatori inglesi, raccontava mio padre, penso fuggiti da qualche campo di prigionia, magari da quello di Servigliano, e arrivati fino a lì nella speranza che il fronte li attraversasse.
Gli unici a conoscenza della presenza dei tre stranieri erano quelli della nostra famiglia; e i vicini che li vedevano lavorare la terra insieme ai miei.
Di notte i tre dormivano in una baracca nei campi: fu lì che una notte, una decina tra federali ed SS vennero a prenderli.
Ci mancò poco che anche i miei non finissero nei guai; guai da cui fu chiaro chi fossero stati causati.
La vicina di casa, invidiosa del lavoro molto redditizio e pagato a poco prezzo, aveva informato la milizia della presenza dei tre.
Quello che successe dopo veniva raccontato da mio padre con approssimazione. Sembra che i tre fossero stati legati su un ponte ad Ascoli Piceno, gli fossero stati cavati gli occhi e lasciati morire lì; come ho scritto non ho trovato riscontri a questa conclusione:
Di certo, nessuno a casa di mio padre, rivolse più la parola ai loro vicini e con loro cessò ogni rapporto.
Mio padre racconta che ogni volta che si parlava di quelle giornate mia nonna ripeteva:”Quei poveri figli miei!”. Proprio vero che per le madri, non esistono uomini, ma solo figli.
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