“Non dire che sono qui.”
Di solito Hans era puntuale. A pranzo era il primo ad entrare in sala, ma quel giorno non c’era. Lo avevano cercato un po’ dappertutto, ma non si trovava. Hans – così lo chiamavano a casa, non credo fosse il suo vero nome – era un ragazzotto rumeno, interprete dell’ufficiale a capo della divisione tedesca che aveva scelto la casa di mio nonno per farne il comando. Si affezionò molto a mia nonna che lo trattava come un figlio, come il suo Mario, di cui aveva la stessa età e che per settimane se ne stava in mezzo ai boschi per sfuggire a federali e Wehrmacht.
A mia nonna era rimasto un solo posto dove cercare: andò là. Si affacciò sulla finestra della cantina (se ingrandite la foto al lato, vedete l’entrata) e scorse Hans inginocchiato di fronte alla statua di Sant’Antonio, pregava a mani giunte. Mio nonno aveva fatto mettere nella cantina la statua del santo che normalmente si trovava nella Chiesetta sul Ponte, sicuro che lì, nella casa dove risiedeva il comando tedesco, nessuno avrebbe provato a sfregiarla come stava succedendo con tanti altri luoghi sacri.
Hans si doveva essere accorto della presenza di mia nonna, perché si girò di scatto:”Cattolico, signora, ho bisogno di pregare, di pregare per tutto questo che succede, non dire questo ad altri, non capiscono”.
Mi nonna annuì e gli disse che il pranzo era in tavola.
“Trovato la statua di Sant’Antonio, sotto; io spero che torno a casa vivo.”
Nessuno seppe più nulla di Hans anche se mia madre e mia zia mi dissero più volte che mia nonna avrebbe voluto mettersi alla sua ricerca per sapere che fine avesse fatto, forse aveva paura di ricevere risposta.
Il nome di quel ragazzo è rimasto fino ad oggi nell’immaginario di tutta la famiglia: ogni tanto torniamo a parlarne di Hans, senza un motivo e senza sapere neanche che volto avesse, come uno di famiglia che se ne è andato.
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