Era lui, Hans…

Era lui, Hans…

Nel post che trovate qui parlavo di Hans, un soldato romeno che faceva da interprete al comandante della Wehrmacht che nell’estate del 1944 aveva stabilito il proprio quartier generale nella Casa sul Ponte.

Fino a poco fa, non sapevamo neanche se il suo vero nome fosse Hans. Poi questo brandello di carta, forse scritto proprio da Hans, che, come si può vedere era davvero rumeno, (mia nonna  deve aver scritto sotto il testo ‘Rumania’). Hans faceva Hūdetz di cognome ed era un caporale (notate l’abbreviazione Gefr. – sta per Gefreiter). veniva da Brezon che è un villaggio ai confini con la Serbia. In tedesco Brezon era Bersondorf e durante la prima guerra mondiale faceva parte dell’impero austro-ungarico. A Brezon, tra le due guerre ci dovevano essere praticamente solo abitanti di lingua tedesca, come si evince dall’elenco dei caduti in guerra che ho trovato qui: http://www.denkmalprojekt.org/2019/bersondorf-chronik_gde-forotic_kreis-caras-severin_banat-rumaenien.html

Il nome di Hans, non c’è, quindi deve averla sfangata. Un Hans Hudertz visse ad Amburgo nel secolo scorso e poteva essere lui visto che la sua data di nascita era 1915 e di norte il 1980; chissà, forse aveva salvato la pelle e aveva scelto di vivere nella nazione per la quale aveva combattuto.

Ripercorrere la vita di qualcuno la cui esistenza ha sfiorato seppure per un momento quella di un nostro caro, fa sempre un certo effetto.

“Non dire che sono qui.”

“Non dire che sono qui.”

Di solito Hans era puntuale. A pranzo era il primo ad entrare in sala, ma quel giorno non c’era. Lo avevano cercato un po’ dappertutto, ma non si trovava. Hans – così lo chiamavano a casa, non credo fosse il suo vero nome – era un ragazzotto rumeno,  interprete dell’ufficiale a capo della divisione tedesca che aveva scelto la casa di mio nonno per farne il comando. Si affezionò molto a mia nonna che lo trattava come un figlio, come il suo Mario, di cui aveva la stessa età e che per settimane se ne stava in mezzo ai boschi per sfuggire a federali e Wehrmacht.

A mia nonna era rimasto un solo posto dove cercare: andò là. Si affacciò sulla finestra della cantina (se ingrandite la foto al lato, vedete l’entrata) e scorse Hans inginocchiato di fronte alla statua di Sant’Antonio, pregava a mani giunte. Mio nonno aveva fatto mettere nella cantina la statua del santo che normalmente si trovava nella Chiesetta sul Ponte, sicuro che lì, nella casa dove risiedeva il comando tedesco, nessuno avrebbe provato a sfregiarla come stava succedendo con tanti altri luoghi sacri.

Hans si doveva essere accorto della presenza di mia nonna, perché si girò di scatto:”Cattolico, signora, ho bisogno di pregare, di pregare per tutto questo che succede, non dire questo ad altri, non capiscono”.  

Mi nonna annuì e gli disse che il pranzo era in tavola.

“Trovato la statua di Sant’Antonio, sotto; io spero che torno a casa vivo.”

Nessuno seppe più nulla di Hans anche se mia madre e mia zia mi dissero più volte che mia nonna avrebbe voluto mettersi alla sua ricerca per sapere che fine avesse fatto, forse aveva paura di  ricevere risposta.

Il nome di quel ragazzo è rimasto fino ad oggi nell’immaginario di tutta la famiglia: ogni tanto torniamo a parlarne di Hans, senza un motivo e senza sapere neanche che volto avesse, come uno di famiglia che se ne è andato.