“Cercavate me?“

“Cercavate me?“

Mio zio ne aveva combinata un’altra delle sue, Cucca non si trovava più. Era rimasto un solo altro posto dove cercarla, ma nessuno s’azzardava neanche a pensare potesse essere là. Era come quando sapevi che era successo qualcosa che non doveva succedere ma te ne nascondevi l’esito e speravi che da un momento all’altro arrivasse una smentita all’ineluttabile. Mio nonno, invece, era tutto meno che attendista. “Secondo!”, lo sentì urlare mio padre mentre usciva dalla stalla; “Cucca? Dove sta Cucca?”. “È scappata, papà. Non si trova, sai come fa. Mi sono girato un attimo per raccogliere gli attrezzi ed è sparita. Non so dove sia finita”, fece mio zio quasi indispettito, cercando di giustificare l’ingiustificabile. “Lo so io dove è finita!” Urlò mio nonno..“lo so io dove è finita!”. ripetè mentre correva verso il confine. Sì, era finita proprio dove tutti sapevamo che sarebbe finita, e cioè nell’unico posto dove non sarebbe mai dovuta finire.

“Questa bestiaccia, riprendetevi questa bestiaccia” fece una voce pesante e lontana, mentre Cucca, trotterellante e serafica, risaliva l’avvallamento che separava il terreno di mio nonno dal quello del nostro vicino. “La volete tenere legata oppure no?”.

Cucca era una capra, anzi era la quintessenza della capritudine. Ignorante, impassibile e completamente disinteressata a qualsiasi cosa succedesse intorno a lei, era programmata per fare quello che doveva fare, che al momento, data la sua gravidanza avanzata era quella di saccheggiare il campo di avena del vicino che non è che fosse così felice di vedere quel piccolo aratro nano pezzato che ripuliva ad alzo zero il suo campo d’avena.

Cucca non era indisciplinata, anzi; ma si incuneava nelle pieghe delle regole che le erano state date. Nel caso di specie, la regola era che finché qualcuno la osservasse, lei non doveva allontanarsi oltre il confine. In realtà, qualcuno la osservava proprio perché lei aveva l’abitudine di sconfinare nello stupendo campo di stupenda avena del vicino, ma questa è un’altra storia. Insomma, finché ti sentiva gli occhi addosso, faceva il periplo della proprietà, voltandosi, ogni tanto, per vedere se eri attento; ma se esitavi ad incrociare il suo sguardo, eri fatto. In poche parole, era lei che controllava te, non il contrario: bloccarla, impossibile con buona pace di mio nonno che accusava una volta mio zio, un’altra mio padre di essere poco ligi al dovere.

“Vi faccio vedere io come dovete fare” pontificò mio nonno. “Guardate.”

Spinse Cucca correndole dietro fino all’aia di casa poi la fissò, indicò il confine e le disse:”Sai che la terra dove puoi stare è fino a lì: oltre quel gomito di terra, non puoi andare.” E si mise nuovamente a sistemare il covone di erba medica, non tralasciando di voltarsi ogni tanto verso l’impunita, che, ovviamente si dimostrava più obbediente del più obbediente dei bambini obbedienti.

“Visto?” fece mio nonno rivolto a mio zio e a mio padre. “Basta uno sguardo ogni tanto, non dovete sempre starle con  gli occhi addosso…imparate!”

Fu in quel momento che la genialità brigantesca di mio zio raggiunse una delle vette più elevate. “Papà” fece mentre si avvicinava lentamente facendo sporgere dal pacchetto di Nazionali una sigaretta. ”…una Nazionale?”. Mio nonno che stravedeva per le Nazionali, di solito le sigarette se le faceva con le cartine, mollò il fieno che aveva in mano e avvicinò la mano al pacchetto. Mio zio gli accese la sigaretta ma mio nonno non arrivò a tirare la prima boccata. “Allora! Questa bestiaccia è ancora qui? Feliiiiiceeeee!” Fu un attimo, che mio padre raccontava ancora qualche mese prima di morire; lui e mio zio piegati in due dal ridere e mio nonno il cui viso acquisiva varie tonalità di colore tra il rosso e il verde.

Qualche decina di metri più in là, Cucca, che veniva loro incontro trotterellando con il suo bel carico di avena in bocca che spostava da una guancia all’altra mentre lo triturava e quel muso che sembrava dire:”Successo qualcosa? Cercavate me?