Ho cominciato a sentire parlare di zafferano quando venivo nella Casa sul Ponte a passare i mesi di svago estivo dopo le fatiche (si fa per dire) della scuola. Mio zio raccontava che mio nonno si era appassionato allo zafferano a tal punto da portarsene via dei bulbi dall’Abruzzo, dove aveva lavorato; li aveva piantati nell’orto e nel giardino e ne utilizzava il prodotto essiccato per la cucina.
Il risotto alla milanese è sempre rimasto tra i cibi che consumavamo più spesso, perché mia madre si trascinava nelle ricette questa storia giallo-ocra e la riproponeva spesso nelle sfumature più diverse. Nessuno dei miei zii aveva continuato la coltivazione della spezia, ma ogni tanto si vedevano spuntare nel giardino questi fiori violacei che duravano un attimo.
Per me erano fiori come tutti gli alti, solo un po’ strani, erano bassi e sparivano subito.
Mio fratello se ne portò via qualcuno e cominciò a coltivarlo; parlava di Navelli, che da lì nonno avrebbe portato a Roccafluvione i bulbi di zafferano, che era una coltivazione difficile, dove la terra doveva essere in un certo modo ed il lavoro manuale era infinito, che secondo lui non viene fuori niente, etc. etc.
Adesso lo zafferano è tornato a crescere in giardino, poche piante per toglierci lo sfizio di mangiare qualche buon piatto di risotto, fatto con vero zafferano locale, la parte migliore degli stami. E credetemi, non c’è paragone con quello che comprate in un supermercato e con il divertimento di coltivarlo.