24 Settembre 2019
di Carlo Santini
La battaglia dei ravioli.

Ci sono battaglie di cui non resta traccia nei libri di storia, ma non per questo sono meno cruente. Questa che vi racconto si svolse proprio nella Casa sul Ponte.

il freddo, la fame e il futuro.

Serata di un giorno d’inverno del 1962 o del 1963, di quelle che fanno male, fuori è sotto zero dalle quattro del pomeriggio; dentro i camini sparano scintille da bruciare i vestiti. C’è gente intorno a grande tavolo di formica, si fa festa prima ancora di arrivare a Natale. Ci sono donne che preparano decine di ravioli di castagna, che poi erano il dolce per eccellenza di queste giornate, in questi luoghi; gli uomini, mentre sorseggiano del cordiale non troppo raffinato, raccontano della miseria che è finita, delle strade asfaltate che aumentano, del frigorifero che è arrivato la settimana scorsa e che farà risparmiare chili di cibo. Si guarda al futuro con la certezza che sarà grandioso.

Non so dirvi quanti fossero le persone in quella stanza: di sicuro, c’erano mio zio Domenico (che ancora non era ancora tale, visto che era il fratello di mia madre e questa non era ancora sposata) e Giuseppe, quello che sarebbe diventato mio padre. Quest’ultimo è lì, arrivato sulla sua Gilera Sport rosso-nera fiammante, viene dal paese lì vicino, dove abita, in visita di corteggiamento, sottoposto all’analisi giocosa (ma neanche poi tanto) dei fratelli di mia madre.

Dalla cucina cominciano ad uscire i primi ravioli fritti, sono bollenti, ma mio zio ci si lancia sopra per stemperare l’alcol  del cordiale. “Ne posso mangiare anche 10, 15 di fila, di questi… come li fanno Rita ed Elena …uhmm… capolavori”. È l’abbrivio di un tardo pomeriggio all’ultimo sangue. “Se continuo a berci cordiale, posso anche arrivare a 20.” fa mio padre.

Partiti!

lo spirito del branco fa il resto. Cominciano a ridere, tutti; e qualcuno apre la bocca quando non avrebbe mai dovuto farlo. “E allora vediamo chi vince”, fa una voce inconsulta. Il resto è storia. Anche se nei decenni successivi, sui numeri precisi, si è a lungo dibattuto, la sfida rimase senza un vincitore: mio zio fu accreditato di 32 ravioli e 12 cicchetti; mio padre di 24 ravioli e poco più di 20 cicchetti. Mio zio quasi svenne, ma con il fatto che si trovava a casa sua, riuscì a passare la nottata senza troppi problemi. Mio padre forte del suo:”Sì, sto bene, nessun problema a guidare…” suggerito anche da una certa manifestazione di prestanza testosteronica, viste le dovute manifestazioni di potenza che era d’obbligo sciorinare in quelle occasioni, montò sulla sua Gilera Sport e filò a casa, dribblando lastre di ghiaccio e auto senza fari. Fino a poco prima di morire raccontava di essersi trovato la mattina seguente, praticamente assiderato, rannicchiato in posizione fetale sui tre scalini esterni di casa, con le chiavi in mano. Non ricordava come c’era arrivato, ma la moto era lì a fianco e lui era vivo. Gli altri del branco, raccontavano che ad un certo punto erano terrorizzati, ma non riuscivano a fermare la competizione. 

Altre fami, altre forze, altra vita.