8 Settembre 2019
di Carlo Santini
Due pietre non sono…

Se chiedete a qualcuno in paese come si sia formato Ponte Nativo, vi dirà che tanti tanti anni fa due rocce, una di tufo e una di pietra, si sono incastrate per un qualche motivo.

In realtà le cose non stanno proprio così.

Se scendete al fiume e arrivate fino sotto al Ponte (fatelo in estate, così non dovrete nuotarci dentro, l’acqua è gelata) ve ne potete rendere conto. Le foto che ho scattato (soprattutto l’ultima, che ho schiarito per rendere pù evidente quello che leggerete fra poco) rendono giustizia a quello che sostengono i geologi e che è più o meno questo.

Alla fine dell’ultima glaciazione, circa 10.000 anni fa, i ghiacci che si scioglievano cominciarono a scavare il tufo (tecnicamente, l’arenaria) decisamente più friabile di altri tipi di roccia. Così, nacque il Fluvione, che è il risultato di due azioni: la prima, quella della terra che alzandosi per via dei terremoti si spostava verso il monte Vettore; e dell’acqua dei ghiacci che scavava, molto più rapidamente, l’arenaria. In prossimità del Ponte, l’arenaria si dimostrò più resistente dell’azione corrosiva dell’acqua e formò la parte che vedete a sinistra nelle foto. L’acqua trovò invece vita facile nella parte più in basso, ma mentre scavava, depositava sulla destra frammenti di rocce calcaree (per intenderci, quelli che si staccavano dal Monte Vettore e dai Sibillini meridionali da dove nasce il Fluvione). I frammenti si consolidarono e si saldarono con l’arenaria che aveva resistito all’azione del torrente. Se quindi la parte sinistra del Ponte potrebbe assomigliare ad una grande roccia, quella destra è un mosaico di calcare.

Certo, la storia che si racconta sulle due rocce è forse più affascinante: scegliete pure quella che più vi piace.

Ultima notazione: dalle foto è evidente come il Ponte non sia tutta opera della natura: guardate l’arco su cui poggia la Chiesetta, dalle foto è evidente come non sia certo opera di ghiacciai e terremoti.