Fate, Sibille, streghe, fattucchiere, indovine. Tra questi monti non c’è una sola entità che abbia un qualche legame con il mondo metafisico, che non sia di sesso femminile.
Vabbè, direte, è il solito collegamento del mistero della vita che si genera nel grembo di una madre e che per millenni ha rappresentato la sacralità dell’insondabile. C’è anche questo. Ma da queste parti, dove un pezzo di terra pianeggiante dà la vita ad una famiglia e una fonte di acqua al suo interno, le dona prosperità, di metafisica se ne fa davvero poca. La donna (meglio, la femmina) è il tramite con ciò che non ha una spiegazione ragionevole, a lei sono riservate certe forme di conoscenza a cui l’uomo (il maschio) non è in grado di accedere.
Non si spiegherebbe, altrimenti, perché i riti per togliere il malocchio (o come la chiamava mia nonna, la nvidia), avessero una esclusiva trasmissione nella linea femminile della famiglia e anzi, richiedevano certe capacità nell’accoglierli che la depositaria, prima di cederli per motivi di età o di malattia o altra necessità, doveva verificare (anche perché una volta ceduti non potevano più essere riacquistati). Non passavano necessariamente da madre a figlia, ma tra membri della famiglia che si erano “riconosciuti”. Non chiedetemi quali fossero nello specifico questi riti, io sono un uomo; ma credetemi, quelli che leggete in giro sul web o che vi raccontano sono una minima parte. Mia madre, per esempio, li ricevette dalla suocera (che non li passò quindi alla figlia) per poi trasferirli prima di ammalarsi, qualche anno fa, alla figlia di mia cugina: non mi ha mai voluto dire in che cosa consistessero per il semplice motivo che rischiavano di non avere più efficacia. Streghe ed indovine, quassù avevano il compito di garantire una corretta difesa delle cose importanti, quelle che venivano messe in pericolo da flussi maligni, anche involontari: che l’effetto della loro azione fosse reale, non posso crederlo; che aiutasse qualcuno a crederlo, questo è certo.