Curre, curre… Lù Macaròsce!

Curre, curre… Lù Macaròsce!

Vivace. Chi da molto piccolo combinava disastri  di tutti i colori, veniva definito vivace, perché carogna, delinquente, figlio di buona donna era  troppo per dei ‘pezzi di cuore’ e soprattutto poteva mettere in dubbio le capacità educative di madri e padri, oltre che quelle genitoriali. Per chi aveva pochi anni (ma anche qualcuno di più), dei rimedi esistevano. Uno era proprio il Macaròsc(e) – metto tra parentesi la ‘e’, perché nei dialetti dalle parti del Ponte, le vocali a fine parola scivolano via in un sibilo, più o meno lungo.

Il Macaròsc(e) (o Macaròce) era un essere indefinito, comunque grosso, brutto e puzzolente, di solito barbuto e con i capelli lunghi e mal curati, una roba come l’uomo nero, più o meno. Il suo scopo era uno solo: romperti le balle quando facevi quello che più ti piaceva o farti fare quello che non volevi fare. 

Da dove provenga questo termine non ne ho la più pallida idea. Su internet non ne ho trovato traccia e se lo chiedi qui intorno, ti sanno solo dire ciò che avete già letto. Quello che trovate appiccicato sulla Casa sul Ponte, a pochi passi dal Chiesa è venuto fuori qualche anno fa, opera di non so chi, ma mi è sembrato divertente ritrovarmi un pezzo d’infanzia sotto casa e pensare che il Macaròsce, che per mesi mi ha reso la vita tormentata, avesse quella faccia lì.

Ancora oggi, in famiglia, continuiamo ad evocarlo quando ci vengono fuori facce strane o espressioni cupe: “Sembri un macaròsce conciato in quel modo”; “Ma che è quella faccia? Hai visto un macaròsce?” 

Alla fine, la storia è sempre la stessa: quello che ti impressiona in tenera età te lo porti dietro anche quando finisci di credere alle favole e cominci a pensare che per quanto paurose, quelle favole siano molto meglio della realtà.

Buuuum, buum, bum!

Buuuum, buum, bum!

Sentirli chiamare “Mazzamurelli” fa un po’ ridere. Italianizzare le parole dialettali crea spesso dei veri obbrobri. Chi li ha sempre chiamati Mmazzamëriéllë pensa siano altro che quello che gli hanno insegnato, e cioè una specie di nanetto scattante e vestito a festa che se ne va in giro di notte a dar fastidio a chi si è comportato male e a far sorridere chi non ha niente da farsi perdonare. 

Sull’etimo, non perdo tempo. Anche se il nome ha qualche vaga assonanza con chi fa strage di mori, da queste parti li hanno sempre considerati quelli che danno botte sui muri e va bene così. A me serve per raccontarvi di quella volta che assieme ad un mio amico, che di sicuro legge questo blog, organizzai una cena a tema di mmazzamëriéllë con ospiti ignari, molto sereni all’inizio, un po’ meno alla fine.

Il piano era più o meno questo: 1) passare le settimane precedenti alla cena parlando di strane presenze che si erano manifestate nella Casa sul Ponte; 2) condire i racconti con demoniache apparizioni che poi negli anni si erano dissolte; 3) registrare un CD presso uno studio di registrazione con colpi di mmazzamëriéllë alle pareti, porte che sbattono e frasi dette al contrario; 4) posizionare un adeguato sistema di diffusione del suono in tutte le stanze, in maniera che dovunque si trovassero gli ospiti potessero sentire; 5) godersi lo spettacolo.

Il piano riuscì quasi perfettamente, anche se devo dire che un paio di imprevisti resero non completamente credibile la messinscena. Non furono pochi quelli che rimasero impigliati nella rete (qualcuno mi sta leggendo); qualcuno si scaraventò per le scale battendo un paio di record mondiali di corsa campestre; altri si agitarono solo un po’; molti, purtroppo, non rimasero bene impressionati dallo scherzo e sparirono dalla circolazione e non ne ho avuto più notizia..

Per questo, nel caso vi venisse in mente di replicare l’esperienza, un consiglio: non lo fate.

Di femmina in femmina.

Di femmina in femmina.

Fate, Sibille, streghe, fattucchiere, indovine. Tra questi monti non c’è una sola entità che abbia un qualche legame con il mondo metafisico, che non sia di sesso femminile. 

Vabbè, direte, è il solito collegamento del mistero della vita che si genera nel grembo di una madre e che per millenni ha rappresentato la sacralità dell’insondabile. C’è anche questo. Ma da queste parti, dove un pezzo di terra pianeggiante dà la vita ad una famiglia e una fonte di acqua al suo interno, le dona prosperità, di metafisica se ne fa davvero poca. La donna (meglio, la femmina) è il tramite con ciò che non ha una spiegazione ragionevole, a lei sono riservate certe forme di conoscenza a cui l’uomo (il maschio) non è in grado di accedere.

Non si spiegherebbe, altrimenti, perché i riti per togliere il malocchio (o come la chiamava mia nonna, la nvidia), avessero una esclusiva trasmissione nella linea femminile della famiglia e anzi, richiedevano certe capacità nell’accoglierli che la depositaria, prima di cederli per motivi di età o di malattia o altra necessità, doveva verificare (anche perché una volta ceduti non potevano più essere riacquistati). Non passavano necessariamente da madre a figlia, ma tra membri della famiglia che si erano “riconosciuti”. Non chiedetemi quali fossero nello specifico questi riti, io sono un uomo; ma credetemi, quelli che leggete in giro sul web o che vi raccontano sono una minima parte. Mia madre, per esempio, li ricevette dalla suocera (che non li passò quindi alla figlia) per poi trasferirli prima di ammalarsi, qualche anno fa, alla figlia di mia cugina: non mi ha mai voluto dire in che cosa consistessero per il semplice motivo che rischiavano di non avere più efficacia. Streghe ed indovine, quassù avevano il compito di garantire una corretta difesa delle cose importanti, quelle che venivano messe in pericolo da flussi maligni, anche involontari: che l’effetto della loro azione fosse reale, non posso crederlo; che aiutasse qualcuno a crederlo, questo è certo.

“Se cridi alincanti ali sorte e ali sogni…”

“Se cridi alincanti ali sorte e ali sogni…”

San Giacomo ritratto da Carlo Crivelli, suo contemporaneo. L’immagine di copertina, invece, è la parte superiore di un ritratto del Perugino.

San Giacomo della Marca è quello che oggi definiremmo un grosso rompiballe, uno di quelli che girava per osterie a controllare che gli avventori non bestemmiassero, o che ti trovavi fuori di casa di venerdì a sentire se avevi cucinato carne. D’altronde, essendo del posto, conosceva bene i suoi polli, sapeva che erano sempre pronti a trovare una scusa per fare qualcosa che transigesse le regole.  

Quello che leggete qui sotto è il suo famoso ‘Esame di Coscienza”, che tutti i cristiani dovevano leggersi bene per capire se le loro anime erano a rischio Purgatorio, se non di peggio. Il testo offre uno spaccato di quali fossero le attività, poco ortodosse, che gli abitanti delle sue terre praticassero con una certa frequenza. A giudicare dall’elenco, possiamo tranquillamente affermare che, anche oggi, a distanza di più di 5 secoli, un po’ tutti avremmo qualche problemino.

«Se hai pigliato o facto pigliare el ferro infocato per dimostrare alcuna verità o altra cosa. Se cridi alincanti ali sorte e ali sogni. Se cridi per iscontrare alcuno li seguiti bene o male. Se cridi che chi nasce in tal hora havera bene o male. Se cridi che lo pianeta et costellazione constrenga lo homo ad lo male fare. Se cridi a li indovini et incantatori. Se hai creduto le femine o corpo humano andare in corso de nocte et diventare streghe gacte o lupi e bevere el sangue de mammoli et simile paczie. Se hai usato herbe contra le demonia. Se haiy anello o nodo o signo in corda da portare ad collo o adosso. Se hai incantato o fatto incantare alcuna infermita contra cristiani ad dente o carne … o capo. Se hai incantato ad luna o sole o stelle. Se hai incantato per retrovare furto o facto far. Se hai consigliato alcuno ad simile incanto. Se hai usato incanto o facto incantare ad amalare et usato acqua benedetta o cose sacre. Se hai adorato herbe o sambuco o altra creatura in simili incanti o facture. Se hai indovinato ad cartucia o con palme de oliva … o aprire libro o altro. Se hai facto dire o dicto messe o altro bene contra persone ad ciò che moresse o adriuscisse male qualunque persona. Se hai tenuto libri de sorta de incanti et altro simile et se non le brucia non po’ nessuno dicto absolvere».