La cripta di don Peppe.

La cripta di don Peppe.

Don Peppe Ciabattoni non era di queste parti ma forse proprio per questo si prese tanto a cuore la Chiesa di Santo Stefano. La Chiesa di Santo Stefano, rimane una testimonianza della ricchezza da cui queste zone furono ricoperte quando ricaddero sotto il controllo dell’Abbazia di Farfa; sul web trovate molte notizie su tutto questo complesso: potete partire cliccando qui, se vi interessa approfondire. 

Io, qui, voglio solo raccontare di quando in paese si decise di scavare sotto la chiesa. A don Peppe Ciabattoni (e a mio nonno, che era podestà, all’epoca) si deve il merito di aver riscoperto le stanze della cripta. Che ci fosse la cripta si sapeva, ma una piccola parte serviva da deposito e la restante, la maggiore, era rimasta lì, nascosta, da secoli. Mio zio raccontava che mentre scavavano, non finivano di tirare fuori ossa umane, e molte erano femminili. La cripta, evidentemente, veniva usata come ossario. In Comune (o in canonica) probabilmente si possono avere informazioni su dove le ossa furono messe; probabilmente finirono nell’ossario del cimitero, oggi avrebbero avuto sorte diversa. A don Peppe, pare si debba anche la sistemazione del campanile e di tutta la parte moderna della Chiesa. Se passate di qua, fate un salto a visitare la cripta: oltre ad essere una delle più grandi che ho visto, è anche una delle meglio conservate.

La forza del fiume verde.

La forza del fiume verde.

Il Castellano è il secondo fiume che bagna Ascoli Piceno (anche se lo chiamano ‘torrente’). Ci arriva dopo aver lambito l’Abruzzo, tra cascate, balze e precipizi. Rude almeno quanto le montagne da cui nasce, forse prende il nome da un altrettanto rude rupe sulla quale si erano fortificati i Longobardi, dando vita ad un gastaldato (l’attuale Castel  Trosino, prime due foto qui a lato), che doveva controllare i duchi di Spoleto, che poi non avevano tutta questa predisposizione a rispettare le direttive dei loro re. Da Castel Trosino, i re longobardi controllavano anche la città di Ascoli Piceno, che non faceva parte del Ducato di Spoleto e che quindi era sottoposta al controllo reale. 

Castellano ci si è chiamato dopo la metà del primo millennio del nostro tempo: prima lo si chiamava Fiume Verde, forse per lo zolfo che usciva dalle montagne da cui il fiume nasceva; ma Fiume Verde lo si è continuato a chiamare anche nel basso Medioevo, tanto che Dante e Boccaccio usavano proprio questa dizione.

Mio padre, che da giovane era vissuto sul Colle San Pietro, nella “Casetta Rossa” (cliccate qui per vedere la localizzazione dei ruderi della casa), un poggio proprio sopra il Castellano, conosceva praticamente solo questo fiume e molto poco il Tronto. Al Castellano ci si andava a prendere l’acqua quando, d’estate, la vena vicino la casa si asciugava; a fare il bagno o a lavare i panni. Erano parecchie centinaia di metri a scendere e altrettante a salire.

Ma il Castellano è stato anche la forza motrice che ha dato vita alla Cartiera Papale, fatta sistemare da Giulio II nel 1512, ma attiva da secoli. Il termine “carta” e rimasto nella toponomastica: Porta Cartara, Borgo Cartaro per finire con lo stesso edificio della Cartiera Papale. La cartiera, in effetti è stato anche molto altro: ne parlerò in un altro post.

La Chiesa-Fortezza nel bosco.

La Chiesa-Fortezza nel bosco.

La incontrate percorrendo la Provinciale 89 ad un chilometro circa dal bivio con la Provinciale 237, quella che va a Comunanza. Le indicazioni ci sono, ma ve le ritrovate addosso se l’andatura dell’auto è sostenuta.

Sulla Chiesa e sulla torre, si è soffermato a lungo Furio Cappelli, un medievalista eccelso, gran conoscitore di questi luoghi: se cliccate  qui, potrete leggere il resoconto del suo lavoro di studio a riguardo. 

Per poterla visitare credo che vi convenga chiedere al Comune di Roccafluvione, visto che la Chiesa, normalmente è chiusa: cliccate qui e trovate tutte le informazioni a riguardo.

A me piace ricordare come questo edificio, come il soprastante borgo di Pedara, rimangano una testimonianza di quale grande importanza abbiano avuto questi luoghi, anche dopo l’uscita dall’orbita farfense. Il diverticolo della Salaria Gallica che saliva a Montegallo era molto trafficato in passato almeno fino al XVI secolo, momento in cui è iniziata una continua e initerrotta decadenza di queste zone. Ancora Furio Cappelli ricorda che Stendhal, nel 1829, mentre si trovava a Roma durante i festeggiamenti per l’Ascensione, descrive i popolani provenienti da Ascoli come catapultati dal 1400: era una condizione in cui erano precipitati dopo l’apertura di nuove frontiere ad Ovest, destino capitato a quasi tutte le zone più remote della nostra Italia.

La ‘gola’ che porta al cielo

La ‘gola’ che porta al cielo

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Il ponte sul Garrafo

Il ponte sul Garrafo

Il Garrafo è uno dei tanti torrenti che taglia il calcare della roccia e si butta a valle tra salti e forre. È uno spettacolo straordinario, avrò modo di parlarvene la prossima estate quando ci tornerò (magari con qualcuno di voi) e farò un po’ di foto. Comunque cercate sul web; le immagini che trovate (una sta qui a lato) non sono neanche lontanamente vicine alla grandiosità dell’esperienza dal vivo.

Oggi però voglio parlarvi di come la viabilità della Salaria prima di Ascoli Piceno non sia di molto cambiata dalla sistemazione delle strade realizzata sotto Augusto: ad esempio, fino a non più di 40 anni fa la strada che attaversava Acquasanta Terme, passava sul ponte romano sul Garrafo che vedete qui a lato (o nella foto sopra). Come vedete dalla mia foto, il viadotto della Salaria attuale fiancheggia quello romano, che oltre ad essere semplicemente eccezionale da un punto di vista architettonico, si è conservato per 2.000 anni. Vogliamo scommettere che quello moderno non passa neanche un secolo?

In ogni caso questo non è l’unico esempio di pezzi di strada romana ancora perfettamente conservata. Il percorso marchigiano della vecchia Salaria è ancora in perfetta forma in almeno una decina di tratti: vedrò di farne un elenco in un prossimo post. 

 

Non di solo Spirito vive l’uomo…

Non di solo Spirito vive l’uomo…

La lotta intestina tra Osservanti e Spirituali (per capirci, quella tra francescani “moderati” e “estremisti”, la stessa che racconta Eco ne ‘Il Nome della Rosa’), da queste parti fu ancora più devastante che nel resto d’Italia. Un po’, perché agli inizi della predicazione del frate di Assisi, la maggior parte dei suoi discepoli era proprio marchigiana e non umbra (anche questa questione meriterebbe una bella chiacchierata); e un po’ perché i ‘pauperisti’ erano gente testarda di natura e su queste montagne, che poco spazio lasciano ai confort, si trovavano a loro agio. Qua e là, qualche Spirituale fu simpaticamente impiccato o bruciato; qualcun altro finì i propri giorni in una torre di tufo con delle belle sbarre di ferro alle finestre.

Dopo un secolo e passa di repressione, tuttavia, la lotta non era ancora vinta. Gli Spirituali, decimati, avevano cambiato nome (li chiamavano Fraticelli, adesso) ma la solfa era più o meno la stessa: Gesù fece voto di povertà, San Francesco lo replicò e la Chiesa non deve possedere beni terreni perché né il primo, né tantomeno il secondo avevano posseduto mai nulla di proprio. Un po’ per invidia, un po’ perché ci credeva davvero, la gente di qui non mancò di prendere le parti dei ‘rivoluzionari’ e il loro proseliti aumentavano a dismisura e con loro, c’è da crederlo, il mancato gettito delle decime.

A differenza di quello che era successo quasi due secoli prima,, stavolta a lottare contro la rivoluzione, gli Osservanti misero in azione delle vere e proprie ‘corazzate di fede’, gente tipo San Giacomo della Marca o San Bernardino da Siena, teologicamente preparati e non certo distanti dai bisogni della gente comune. Tra questi, uno spazio importante lo merita il Beato Marco da Montegallo, che inventò i Monti di Pietà. Nato sotto il Monte Vettore, in una frazione che oggi si chiama Fonditore e che quella volta si chiamava Santa Maria (l’originalità nello scegliere i nomi, da queste parti, non ha mai toccato vette altissime), Marco ebbe un’istruzione di grande qualità, divenne dottore in legge ed in medicina, poi si sposò, capì che non era proprio aria e prese i voti. Tra i francescani divenne subito una delle teste di ponte per permettere il riavvicinamento tra esigenze di una popolazione che si stava riprendendo da decenni di catastrofi di tutti i tipi e lo Spirito Santo che sembrava averla abbandonata. I Monti di Pietà ebbero uno sviluppo impensabile e permisero a tanta gente di tirarsi fuori dall’usura imperante in quegli anni.

Che uno dei più grandi economisti del XV secolo sia venuto fuori da uno dei posti più sperduti e tetri d’Italia e fosse un francescano, deve averla una morale nascosta da qualche parte: o no?