Dopo di me, il diluvio.

Dopo di me, il diluvio.

Mio padre non sapeva bene che cosa fosse. Era piccolo  quando vedeva Pasqualina lavorare, andare avanti e dietro, salire e scendere per coste e balze, con tutta quella roba sulle spalle. Ma sapeva che era cattiva, molto cattiva, come può esserlo una vecchia ingrugnita dagli anni e dal lavoro, che malgrado tutto, eseguiva con una precisione robotica. E sapeva anche che era competitiva, molto competitiva, come mai aveva visto essere un umano; figurarsi un’asina, o forse un mulo o un bardotto femmina, chissà che roba fosse Pasqualina oltre ad essere femmina. In montagna serviva solo che portassi bene quintali di legna o di patate o di carbone sulla groppa e che avessi un nome; poi potevi essere quello che ti pareva.

Pasqualina morì che ancora mio padre era molto piccolo, ma un paio di storie che aveva vissuto se le ricordava. Una, in particolare, veniva spesso fuori quando si parlava di forza e cattiveria e riguardava i periodici viaggi che facevano i miei scendendo in città dalla montagna, per vendere legna o prodotti della terra. Pasqualina, davanti alla carovana, c’era sempre stata, di diritto. Quando era arrivata, costituiva l’unico mezzo di trasporto della famiglia, a parte i mezzi trainati da vacche o buoi, come una specie di slitta che da queste parti chiamavano tregghia. I problemi cominciarono quando arrivò quella là. Giovane, stupida come tutti i giovani; e come tutti i giovani, forte e pronta a fare le scarpe a chi era lì, prima di lei. Era l’asina della cognata di mio padre, di mia zia Angela. Pasqualina odiava quella bestia. Le se piantava dietro a distanza giusta per non essere scalciata e appena poteva cercava di affiancarla e superarla, cosa che Pasqualina impediva chiudendole la strada “a sportellate”, proprio come succede quando qualcuno non vuole farti passare davanti, in auto.

La strada, che portava ad Ascoli Piceno da Colle San Pietro oggi è diventata poco più di un rigo di terra tra i boschi, ma a quel tempo era la via migliore per arrivare in città : poiché serviva alle decine di famiglie che vivevano a Talvacchia, il paese che sta sopra Colle San Pietro, veniva tenuta in perfetto stato e consentiva il comodo passaggio per due animali affiancati con tanto di basto. Pasqualina non avrebbe mai permesso di essere affiancata, figuratevi se poteva accettare che quell’idiota, stupida gallina dalla forma di asina la superasse. 

La carovana, solitamente, era composta da asine, giovani donne e bambini; davanti Pasqualina; dietro la nuova arrivata; ancora più dietro mio padre, sua sorella Cesarina, e appunto Angela, che si divertivano a vedere le due asine competere. Per 10 chilometri a scendere e 10 chilometri a salire, la storia era sempre la stessa: la giovane cercava il sorpasso, la vecchia le sbatteva la porta in faccia, gli umani che si divertivano e soprattutto sfruttavano le conseguenze di quella guerra, perché i chilometri volavano, anche con quintali di merce sulle groppe. E questo, fino a quel giorno d’estate piena, in cui successe il fattaccio. A metà percorso, Pasqualina, apparentemente sfibrata, rallentò di botto e si accostò alla parete di tufo; dietro trattennero il fiato: era finita, ecco il passaggio di consegne che stavano aspettando, da quel giorno si chiudeva un ciclo e, come in tutte le vicende animali, l’anziano dava strada per far passare chi aveva più forza e rabbia di lei. La giovane si infilò di slancio e per la prima volta, affiancò la vecchia e guadagnò un’incollatura. Fu un attimo. Pasqualina allungò il passo per riguadagnare i 40 centimetri perduti, poi si spostò di botto sulla destra, colpì con violenza il basto della giovane idiota e la scaraventò giù dal greppo alto poco più di un metro. La giovane volò nel sottostrada rovesciando tutto il suo carico. Solo la sua giovane età le permise di non riportare danni gravi.

“Guarda cosa ha fatto quella vecchiaccia sciancata alla mia asina.”, urlò mia zia Angela mentre mio padre e l’altra mia zia ridevano come pazzi. Pasqualina, intanto si era fermata e si godeva lo spettacolo. 

Nessuna provò più a superare Pasqualina.

Continuò a stare davanti fino a che non fu messa forzatamente a riposo. Mio padre disse che morì di benessere. Chiusa nella stalla, ormai vecchissima, la corda che aveva al collo e la teneva ferma dovette procurarle qualche forma di infezione. In un epoca in cui non c’erano antibiotici neanche per curare le infezioni degli uomini, chi avrebbe potuto curare una vecchia canaglia arrivata alla fine dei suoi giorni?