Tana libera tutti!

Tana libera tutti!

“IL LETTO DEL FIVME SOTTO PONTE NATIVO NON È LUOGO IMMUNE. S. CONG. IMM. 1755”. La piccola lapide che si trova alla base dell’arco di sinistra, scendendo dalla provinciale 237, prima di passare sopra il Ponte, suona come una minaccia, e in effetti lo è. Basta leggere la firma.

S. CONG. IMM. sta per Sacra Congregazione dell’Immunità, una delle tante congregazioni della Curia Romana, istituita nel 1626 da Urbano VIII (il non troppo amichevole giudice di Galileo Galilei). Lo scopo della Congregazione delle Immunità era quella di risolvere le questioni che vedevano confrontarsi norme laiche e norme canoniche. Nel caso della lapide, questa sanciva che  nascondersi sotto il Ponte – che aveva un tetto ‘Santo’ visto che sopra era stata costruita la Chiesa di Sant’Antonio – non bastava ad evitare la gattabuia.

Evidentemente, non erano pochi i briganti che se ne stavano comodi sotto il Ponte, in attesa che le guardie papaline  si stancassero o che la notte consentisse loro di svignarsela. È questa una straordinaria testimonianza della grande diffusione del brigantaggio in queste zone, un fenomeno che inizierà a metà del secondo millennio e durerà almeno fino alla fine del XIX secolo e vedrà protagonisti personaggi, come Sciabolone o Giuseppe Piccioni, di volta in volta pronti a prendersela contro gli eserciti napoleonici o le guardie del Papa; i latifondisti della zona o l’esercito unitario: con la loro azione hanno caratterizzato la vita di questi luoghi per secoli. Avrò modo di raccontarvi qualcosa a riguardo.

“Imus ad Aquas!”

“Imus ad Aquas!”

Sulla Tabula Peuntigeriana, la copia delle principali vie militari dell’Impero Romano, sono chiamate ad Aquas; e basta già solo questo ad indicare quanto questi luoghi fossero importanti per la logistica militare romana. Ma “ad Aquas” non era un punto di transito, o una mansio, come Surpicano (che più o meno doveva essere dalle parti dell’odierna Arquata del Tronto, o di quello che ne rimane); era una specie di ospedale militare dove venivano mandati soldati feriti o che avevano bisogno di cure ricostituenti. Perché ’ad Aquas’ che doveva trovarsi più o meno dalle parti di Santa Maria di Acquasanta, era un luogo di cura, come adesso.

Ancora oggi le sorgenti sulfuree che scaturiscono dal ventre delle montagne a strapiombo sul Tronto, sono metadi chi voglia fare un bagno nello zolfo.

A Santa Maria, che tra l’altro è stato il villaggio in cui è nata la madre di mio padre, hanno sistemato un percorso che porta alle antiche sorgenti. Non vi aspettate confort e attrezzature à la page, perché questi non sono luoghi molto rifiniti: ma vale sicuramente godersi lo spettacolo di un acqua che anche quando fuori si scende sottozero, rimane a 26 °C

Fate e piedi caprini.

Fate e piedi caprini.

C’è stato un periodo nella storia dei Monti Sibillini dove tutto è iniziato, una specie di spartiacque che ha diviso la leggenda dalla storia; questo periodo ha a che fare con uno dei protagonisti della nostra Europa e in genere del pensiero occidentale: San Francesco d’Assisi.

Con il frate di Assisi, i cui primi discepoli provenivano, quasi tutti delle Marche meridionali, si è tornato a parlare dei Monti Tetrici, che ormai aveva perso il loro nome latino ed erano conosciuti con i nomi che gli avevano dato i montanari che lì vivevano, nomi che che poi non sono molto diversi dal significato originale e si sono conservati fino ad oggi: Orrido dell’Infernaccio, Val dell’Inferno, Valle scura, Monte di Morte, Passo Cattivo, Passo delle Streghe.

A cavallo tra il XIII e il XIV secolo si scatenarono dispute filosofiche che videro protagonisti gli Spirituali (dispute che sono l’oggetto de “Il Nome della Rosa” di Eco) e spinte inquisitorie di cui fecero lo spese oltre che i fraticelli, anche Cecco d’Ascoli e tanti altri chierici e laici accusati di negromanzia. Molti dei fatti che venivano contestati ai presunti eretici, riguardavano proprio riti e superstizioni, vecchi di secoli ma che non potevano che essere repressi dall’ordine costituito. Tuttavia, l’aspra lotta al sistema ecclesiastico che alcuni seguaci del Santo di Assisi aveva iniziato a combattere, riportò in luce proprio queste montagne, perché era qui che molti dei suoi abitanti da tempo praticavano stregonerie che avevano protagoniste deliziose fanciulle con piedi caprini che si trasformavano in diavoli pronti a strapparti l’anima.  Per quanto sia stata forte la repressione, ancora nel XVI secolo si cercava di ridurre all’obbedienza folle di genti in odore di eresia. I risultati non sono stati così eclatanti se ancora oggi, su queste montagne, si perpetuano riti e si tramandano saperi poco ortodossi: il tutto, ovviamente, per via femminile.

Strane maschere.

Strane maschere.

Non fanno paura, ma non sono neanche molto piacevoli da vedere. Sono apparse un giorno di primavera, di quelli in cui tornavo per vedere se fosse tutto a posto. Le ho trovate lì e mi è stato bene.

Quella che fa da piccola fontana, sul lato sinistro della strada, scendendo, ormai è invasa dai muschi; l’altra, che si trova proprio di fronte a quella, è molto più grande e non proprio gradevole.

Le lascio lì, per ora.

 

 

 

Acqua, acqua, acqua!

Acqua, acqua, acqua!

L’acqua è una costante della zona che sovrasta il Ponte.
Oltre al Fluvione, che come tutti i torrenti ha periodi di magra, ma che comunque non ho visto mai completamente in secca, il lato ovest del fiume è ricco di acqua che scende dalle colline sovrastanti.

A sinistra della provinciale, proprio vicino alla strada che scende verso il Ponte, c’è una fonte – la vedete nella foto di copertina – che non ha mai smesso di buttare acqua (almeno a mia memoria),  gelida anche ad agosto e la cui portata è sempre stata costante.

L’acqua, poi defluisce nel Fluvione, nella maniera che vedete cliccando sul video a lato. Ma tutta la zona è sempre stata sempre il punto di sfogo di una serie di vene d’acqua, tanto che l’orto che si trova a fianco alla casa aveva un pozzo mai secco, finché lo si è curato. Di più: dal muro che costeggia la strada che passa sul Ponte è sempre uscito un rivolo d’acqua, tanto che qualcuno ci ha costruito una fontanella con un volto, la vedete qui a lato.

Per finire, abbiamo acqua fin dentro casa. Sotto uno sperone roccioso è sempre ‘cresciuta’ dell’acqua che poi ha trovato la sua strada per gettarsi, anch’essa nel fiume.

Mio nonno, quando costruì la casa, non chiuse la vena, ma anzi fece un piccolo pozzo a vista (che ancora esiste) la cui acqua è stata sempre utilizzata anche per scopi alimentari: abbiamo ancora il piccolo pozzo in cantina, sotto lo sperone di roccia.